Carbone, M.B., Ivănescu, A. 2020. ‘Games and Players’. In K. ROSS, I. BACHMANN, V. CARDO, S. MOORTI, M. SCARCELLI (EDS), The International Encyclopedia of Gender, Media, and Communication, WiLEY, doi:10.1002/9781119429128.iegmc015
The gender identities of players, the representations of video game characters, the state of diversity in the gaming industry, and the specific characteristics of the medium represent key issues for gender studies approaches to digital games. Looking at the history of representation of characters in digital games, the entry discusses the prevalence of heteronormative representations and dominance of cisgender, White, and male characters at the detriment of diversity, as well as tracing elements of change and inclusivity emerging in the game industries. Reporting about the Gamergate debacle as a backlash against emerging feminist critiques of gaming industries and cultures, the entry provides an account of players from a demographic perspective, tracing the prevalence of White, patriarchal heteronormativity to systemic issues of professional underrepresentation, and relating progressive views on gender identities in gaming to broader movements like #MeToo and #BlackLivesMatter. Outlining approaches to the study of games and gender from an interdisciplinary perspective, the entry underlines the specific affordances of the interactive medium for the trying and affirmation of gender identities, including character customization, embodiment, the simulacrum aspects of representation, and inclusiveness as an emergent property of design. The rise of gender analysis in games is highlighted as a timely and political issue that concerns matters of research as well as industry representation and advocacy, requiring both interdisciplinary and games‐specific approaches.
Disponibile via Mimesis e nelle maggiori librerie in formato cartaceo ed elettronico.
Blurb
Quali sono i videogiochi made in Italy? E che immagine restituiscono dell’Italia? Il videogame nel Belpaese esprime caratteri di cultura nazionale tanto nelle produzioni nostrane quanto nell’adattamento e nella ricezione culturale dei prodotti esteri. I contributi di questa raccolta, firmati da ricercatori italiani e internazionali, trattano della fruizione e della produzione italiana di questi prodotti, della rappresentazione del nostro paese, delle relazioni tra giochi, fumetti, cinema, sport e brand nazionali, delle comunità di giocatrici, critici e studiose e del crescente riconoscimento istituzionale del medium come veicolo per la promozione del patrimonio storico-culturale.
It focused on two main issues: the historiography and state of the Italian video game industry, and the images and representations of Italy in the medium of the video game. Looking at these two, often intersecting themes, the lecture presented the case for framing the study of video games in Italian academia under a rigorous, non-celebratory perspective and for critically understanding its representations, characterisations, and national branding in the medium.
Full Reference: 2020 – Italy in Games/Games in Italy. Images of the Nation and the Rise of a National Industry – Marco Benoît Carbone (Brunel University London) & Riccardo Fassone (Università di Torino), «Mediating Italy in Global Culture Summer School. III Online Edition», Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
CARBONE, M. B. 2020. “THE LIGHTHOUSE”, SEGNOCINEMA, 223-224, MAGGIO-AGOSTO, PP. 44-45.
Dir. Robert Eggers. Scenegg.: Robert Eggers, Max Eggers. Fotogr.: Jarin Blaschke. Musiche: Mark Korven. Mont.: Louise Ford. Scenogr.: Craig Lathrop. Prod.: R. Teixeira, J. Van Hoy, R. Eggers, L. Sant' Anna, Y. Henley, per RT Features, Parts & Labor. Distr.: Universal Pictures Home Entertainment. Durata: 109 min. Stati Uniti d'America, Canada. Interpr.: Willem Dafoe (Thomas Wake), Robert Pattinson (Thomas Howard/Ephraim Winslow); Valeriia Karamän (la sirena).
Sinossi
Tardo XIX secolo, New England. Ephraim Winslow diviene assistente guardiano di un faro. L’impiego si rivela impegnativo per la fatica fisica e per l’incontentabile e severo custode, irascibile Thomas Wake, che gli impone ruoli umilianti e gli impedisce di accedere alla cabina superiore del faro. Sfinito e psicologicamente provato, Winslow si introduce nella cabina e ha allucinazioni di creature marine e visioni di amplessi mostruosi. Vessato da un gabbiano, lo uccide in uno scatto d’ira, contravvenendo alla credenza che in quegli animali si reincarnino le anime dei marinai morti. Lo stato psicologico di Winslow peggiora quando scopre che l’assistente che lo ha preceduto è impazzito e che una tempesta ha reso ormai impossibile abbandonare l’isola. Winslow rivela che Ehphraim non è il suo nome, ma quello di suo superiore, morto in un incidente che lui non ha impedito. La tempesta infuria e i due si abbandonano a risse violente e ambigue intimità, riducendosi a bere della trementina. Deciso ad abbandonare l’isola, Howard tenta di appropriarsi di una scialuppa.
Ambientato nel New England verso la fine dell’Ottocento e girato negli angusti spazi della torre di un faro e nei pressi della scogliera ad esso circostante, The Lighthouse prosegue una idea del cinema come attraversamento di topoi geografici, letterari e psicologici che Robert Eggers (che inizia la sua carriera come designer e regista teatrale), aveva già esplorato nell’acclamato The VVitch (2015). Come nella precedente opera, Eggers punta a ricreare un’epoca attraverso un testo che è quasi un costume o historical drama, girando il film in 35 millimetri su una vera isola in Nova Scotia. Eggers utilizza costumi d’epoca e strizza l’occhio, nel frattempo, all’espressionismo tedesco e al fantastico di genere della Universal dei Trenta e dei Quaranta.
L’ambientazione è però più letteraria che puramente storica: The Lighthouse è un film in cui i riferimenti iconografici e letterari e il cui stile narrativo e di interpellazione dello spettatore riconducono decisamente a una certa letteratura fantastica. Il soggetto richiama esplicitamente un’opera incompiuta di Edgar Allan Poe dallo stesso titolo; tuttavia, si innesta almeno altrettanto saldamente sull’immaginario associato al Solitario di Providence, al meno noto William Hope Hodgson e ad altri scrittori, oltre che a temi oceanico-orrorifici più ampi, cari alla corrente del weird, dal mito greco alle leggende di Davy Jones. Di questa tradizione Eggers cattura anche le apparizioni del tentacolo, significante del mostruoso e tramite verso un elemento marino che è brodo di coltura teratologico. Coerentemente, innerva il piano dell’enunciazione tra il sovrannaturale e il possibile delirio psicologico, a volte attraverso sguardi in macchina che sembrano volersi fare degli equivalenti degli effetti di senso ricercati dalla scrittura in prima persona, spesso impiegata in quella corrente letteraria.
Il New England marittimo di The Lighthouse– dopo quello rurale di The VVitch – è del resto un cronotopo di cui Eggers è un legittimo Caronte, essendovi nato e cresciuto, come prima anche Poe e Lovecraft. A questo elemento e a tali riferimenti Eggers si lega attraverso vari piani. Su quello verbale, Eggers dà vita a un mondo folklorico deragliato, facendo parlare Thomas Wake come il guardiano psicotico di un un’isola di follia hodgsoniana. Imbevendo un Willem Dafoe dalla invidiabile performance di diari e note d’epoca, ne ottiene così una voce capace di attraversare registri ora ieratici e ora comici. Tra secchi scatti d’ira e ininterrotte litanie di oscure maledizioni da marinai, Wake è lupo di mare burbero o anziano imbelle, folle invasato o Poseidone.
L’atmosfera generalmente paranoica è intramezzata occasionalmente da spunti tragicomici, anche se è sostenuta da una continua suspense, ottenuta grazie alla dimensione auditiva e dalle scene in interni del faro, rese particolarmente opprimenti dal formato di ripresa. Ligio al genere, Eggers è nel complesso reticente nel visualizzare la mostruosità, ma la esprime con potenza in misurati affondi attraverso i quali Howard – tramite principale con lo spettatore – abbandona progressivamente l’orbita della ragione, finendo teso tra residua incredulità e delirio.
Di una certa ricezione di HPL et Cie Eggers cattura ed esplora anche certe visioni ambigue, potenzialmente tossiche, tradizionalmente sessuofobiche, eppure qui tendenti a rappresentazioni del mostruoso che non si accontentano di restare metafore visive degli organi sessuali, ma diventano sessualmente esplicite ed ipertrofiche. Eggers tratta la materia del weird – la sua irruzione nell’ordinario, la consegna di chi lo riceve alla follia, il crinale sottile tra il grottesco e il ridicolo – sostenuto da un mestiere registico e da interpretazioni attoriali che gli consentono di varcare queste soglie a piacimento – e non, come in altri tentativi – di adattare il genere letterario al medium audiovisivo in modo formulaico o involontariamente umoristico.
The Lighthouse è come una scialuppa filmica che conduce dalla scogliera del confine a un mare nero e talmente allucinatorio da restare in ultimo inavvicinabile. Si tratta di un testo che può senz’altro parlare anche a un pubblico più ampio, a cui presenta quello che potrebbe sembrare quasi come un incrocio tra un kammerspielfilm psicoanalitico e un horror di matrice nostalgica. Tuttavia, il suo pubblico modello è forse un altro: quello a cui solo raramente il mezzo cinematografico ha concesso non una lettura del reale, bensì, al pari della letteratura a cui si rifà Eggers, una sua lacerazione, ottenuta increspandovi delle crepe e poi strappandone il velo, rendendo cosi possibile il rispecchiarsi in fantasiosi abissi, in grado di lasciarci, inorriditi ed estatici, di fronte alla loro orripilante bizzarria.
Questo articolo è stato pubblicato su Segnocinema n. 223-224 (maggio-agosto 2020).
Carbone, M. B. 2020. “The Lighthouse”, Segnocinema, 223-224, maggio-agosto, pp. 44-45.