The first videogame I ever played was the arcade game Donkey Kong. Released in 1981, it took us into a blocky-looking world where a carpenter in overalls raced along platforms and up ladders in a building site to rescue a lady kidnapped by a large ape. Its humble hero, Mario, went on to feature in scores of multi-million dollar grossing games, becoming an icon as popular as Mickey Mouse.
Having grown up in the 1980s, the new Super Mario Bros. Moviemeant more to me than the average fantasy animation film. Watching Mario and Donkey Kong have it out on a massive screen – at a resolution so high you can see a single hair or wrinkle on these crisp-looking, toy-like characters – was remarkable.
Yet, it felt like the mission of this movie wasn’t just about creating flashy, fleshy cartoon characters or trying to tell a compelling story – it was about doing justice to the feel of these videogames that span decades and are still enjoyed by millions around the world.
Vol. 3 – ‘Idea Software e Lupo Alberto: the Videogame (Amiga, 1990). Intervista a Antonio Farina’ (Segnocinema 235, maggio-giugno 2022)
Nel 1990 Antonio Farina, manager della Idea Software, di sede a Casciago (Varese), avvia la produzione di Lupo Alberto: the Videogame per gli home computer Commodore 64 e Amiga. Una delle prime software house italiane, Idea Software nasce nel 1990 (e dal 1989 come S.C., Software Copyright), dall’esperienza di Leader, che si era occupata dal 1984 di acquisire licenze su prodotti esteri da distribuire in Italia. Con Idea inizia lo sviluppo di videogiochi originali per l’Italia e l’estero. Antonio Farina cura per Idea la produzione di giochi tratti da fumetti come Lupo Alberto, Cattivik e Sturmtruppen, che giocano su un doppio binario: avere successo in Italia e puntare all’estero. Ne parliamo a partire da Lupo Alberto con Antonio Farina, pioniere e veterano nella produzione di giochi in Italia, manager per Idea e poi fondatore di Graffiti e Milestone (una delle più grandi realtà produttive del gioco in Italia) e CEO delle più recenti esperienze di indie development Reludo e Rortos.
Caro Antonio, come nasce nel 1990 Lupo Alberto, un platform game cartoonesco ispirato a dei personaggi di grande riconoscibilità in Italia?
Ai tempi di L.A. Idea era una piccola realtà in cui ero un factotum. Coordinavo programmatori, grafici e musicisti attraverso scambi rocamboleschi di floppy disk via corriere! Solitamente valutavo delle tech demo interessanti inviate da programmatori e ci creavo intorno un prodotto, coordinando design e produzione. Nel caso di L.A. avevo una simpatia personale per il personaggio, in quel periodo i prodotti su licenza andavano forte e questo fumetto era popolarissimo in Italia. Non molto all’estero, ma se avessimo intanto recuperato i costi da noi avremmo poi potuto sperare che questo ‘platform carino’ avrebbe magari fruttato un successo extra in quanto tale anche fuori dai confini nazionali, dunque al di là della riconoscibilità del personaggio. Quindi abbiamo approcciato Silver con il progetto e a lui piacque l’idea. Ritenni che un gioco in stile Super Mario Bros. sarebbe stato un genere ideale per puntare a un’audience di ragazzi per gli home computer dell’epoca, e quindi ho messo insieme competenze tecniche e maestranze per realizzarlo.
Il fumetto di Lupo Alberto è di grande successo in Italia. In un altro gioco di Idea, Bomber Bob, si può ascoltare una canzone di Francesco Salvi! Molte aziende all’epoca puntavano un po’ sul mercato nazionale e un po’ sull’estero, nazionalizzando o denazionalizzando le produzioni…
L’articolo completo è disponibile su Segnocinema n. 235.
Spiegaci come si sviluppa questa produzione, un’avventura grafica che gode ancora di un buon riscontro tra gli storici e appassionati del genere e con cui Simulmondo ha puntato anche al mercato estero.
L’ipotesi di produzione nacque con Tiziano Sclavi e Decio Canzio intorno al 1991 quando mi furono presentati da Sergio Bonelli a Milano, facendo seguito al mio interesse a trarre dei giochi da icone superstoriche del fumetto come Diabolik delle sorelle Giussani e Tex e l’allora recente fenomeno Dylan Dog di Bonelli (in seguito anche Spider-Man). Tiziano fu entusiasta e trovammo molti punti di contatto: anche lui era un fanatico dell’hard-boiled, e immaginammo Dylan come un’icona alla Bogart del Falcone maltese (1941).
Progettammo due giochi: il primo, Gli Uccisori (1992),sarebbe stato un arcade/action ispirato a giochi come Prince of Persia (J. Mechner 1989) o Impossible Mission(D. Caswell/Epyx 1984). Il secondo Simul-Dylan,Attraverso lo Specchio (1993),sarebbe stato un adventurepunta e clicca come Borrowed Time(Activision 1984) e Déja-vù per Amiga (1986). Il riferimento era al classico di Lewis Carroll, oltre che all’albo del fumetto dallo stesso titolo, anche se la storia del gioco è solo vagamente ispirata a quell’episodio, nonché a Quando la città dorme. Tiziano avrebbe prodotto due raccontini inediti, destinati a diventare mini albi di quattro pagine da includere nel packaging (sarebbero diventati pezzi da collezionismo). La produzione di ALS sarebbe andata avanti per più di un anno.
Quali sono state le peculiarità o le problematiche del contesto di produzione e distribuzione?
Vol. 1 – Schiaffi, fagioli e crowdfunding. Intervista a Gerardo Verna di Trinity Team e Slaps And Beans
Una rivelazione nel panorama italiano – in un mercato fatica a tenere il passo imposto da industrie internazionalmente più affermate, ma al contempo caratterizzato da numerosi elementi di interesse, talenti e progetti di rilevanza creativa e intellettuale – Slaps And Beans è un gioco dall’appeal nostalgico e un successo commerciale e di critica anche all’estero e che sfida alcuni limiti strutturali del contesto di produzione nostrano. Ne parliamo con Gerardo Verna.
Gerardo, non è facile trovare giochi italiani con un successo di mercato e di pubblico in Italia e all’estero. Parlaci brevemente del tuo profilo di designer e della storia di Slaps And Beans.
G: Ho iniziato a lavorare, dal 2005, sviluppando prodotti didattici. Nel 2009, quando ancora gli engine come Unity non erano diffusi, ho sviluppato il mio primo motore grafico in 3D: lo utilizzai nel 2010 per il mio primo gioco, The Invisible Hand, un serious game sul commercio equo e solidale. L’avvento di Unity bloccò lo sviluppo del mio engine, la cui manutenzione sarebbe stata economicamente insostenibile. Dal 2011 ho iniziato a lavorare per la società TiconBlu di Ivan Venturi allo sviluppo del videogioco ispirato al teologo e inquisitore spagnolo Nicolas Eymerich, una avventura grafica tradotta e doppiata in latino. In quegli anni nacque anche l’idea del videogioco su Bud Spencer e Terence Hill, ma ogni tentativo di contattare gli due attori fallì e io decisi di tornare a fare il programmatore. La svolta avvenne a Ottobre 2015 con il lancio di una Game Jam a tema Spaghetti Western. Era chiaramente un segno. Nacque così Schiaffi e Fagioli, prototipo non ufficiale di Slaps And Beans, che attirò l’attenzione di Bud Spencer. La collaborazione con la famiglia Pedersoli portò al successo della campagna Kickstarter e alla costituzione di Trinity Team nel 2017.
Ci sono dei problemi strutturali delle industrie creative nel contesto italiano? Quali sono per te le loro peculiarità e qual è stata la tua esperienza con Trinity Team?
This talk focused on Carrion (2020) and other examples to investigate the recent definition of ‘reverse horror’ mechanics from the standpoint of the role played and affordances offered by monstrosity in terms of design, aesthetics, and axiology. In Carrion, the player controls a tentacular monster intent in devouring humans to grow in size and take over the science facility that had unwisely worked as its birthplace. Drawing on a textual analysis of the game, a genealogical approach to its figurative and functional antecedents in digital games and other media, and a primary investigation of the design process, the study looks at Carrion as a self-characterised attempt of innovative mechanics that represents a promising approach to diversifying processes of character embodiment in the medium.
“L’industria del videogioco sembra avere assorbito l’impatto della pandemia, beneficiando di una diffusa crescita economica e di un’apparente espansione del suo pubblico, invogliato dal distanziamento sociale a sperimentare il medium.
Al livello ‘globale’ i videogiocatori avrebbero raggiunto nel 2020 circa 2.3 miliardi, per un mercato di circa 159 milioni di dollari, in crescita rispetto agli anni prepandemici, come sostiene un report di Newzoo (Wijman 2020). Più precisamente, negli Stati Uniti, l’NPD Group registra vendite per 6,6 miliardi di dollari a metà 2020. Anche in Italia, produttori e rappresentanti di categoria hanno esultato: IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) parla di un giro di affari di 1,7 miliardi di euro, con una crescita del 24,8%, ma anche di una svolta nella percezione sociale del medium, presentato finalmente come un’arte che ha saputo arricchire le vite dei giocatori durante il lockdown.
Da altre prospettive, questa narrazione si è rovesciata. L’entusiasmo degli operatori del settore è stato, per esempio, inquadrato in un’analisi delle ineguaglianze strutturali di un mercato in cui grossi conglomerati stritolano i piccoli sviluppatori (Takahashi 2020). Il consumo di videogiochi è stato anche correlato a presunti rischi di dipendenza dai media, e dunque ancora una volta iscritto (seppure con attenzione al contraddittorio e alle evidenze – Ipsico 2021) in un paradigma attento ai potenziali rischi psicologici e sociali della sovraesposizione ai media (Fineberg et al. 2018).
Queste tesi e i loro discorsi circondano il videogioco come oggetto complesso e spesso conteso. Il rapporto tra gioco e pandemia ripropone la questione del riconoscimento sociale dei videogiochi e della loro dignità estetica, che può ancora incontrare forti resistenze culturali. La pandemia ha anche rinfocolato il vecchio dibattito sui presunti effetti del medium, che già per decenni ha polarizzato frange della comunità scientifica, dei giornalisti e del pubblico. La pandemia ci offre infine un’occasione per comprendere come il gioco digitale sia parte integrante di un più ampio sistema delle industrie creative, dei media e dell’information capitalism, prefigurandosi sempre più spesso come vere e proprie piattaforme di socializzazione.”
Another World (1991) è forse tra i cinematic platformer più noti, efficaci e di successo. In questi prodotti (cfr. anche Prince of Persia, 1989, e Flashback, 1992), una componente action incontra elementi cinematografico-narrativi. Another World è anche spesso evocato (Blanchet 2015; Montagnon/Blanchet 2019) come esponente del ‘French Touch’. È questa l’idea di un videogioco ‘di qualità’, legato alla complessità dell’esperienza di gioco e al suo ri ettere un carattere nazionale. In questo articolo, snodo sintetico di una ricerca più ampia e in corso, Another World funge da spunto per alcune annotazioni sul rapporto tra gioco e cinema, sui modelli autoriali che lo legano ai canoni letterari, e sul suo statuto estetico e artistico.
[…] la Francia alla fine degli anni Ottanta diventa protagonista della produzione in Europa, in particolare su piattaforme Commodore e Amstrad, che godono di grande diffusione. Dal 1983 in poi, aziende come Info- grames, Loriciel, ƎRE Informatique, Microids, e France Image Logiciel (FIL) iniziano a produrre adattamenti da testi francofoni, come Les passagers du vent (1986, tratto dal fumetto di François Bourgeon) e Les Ripoux (da un fumetto di Claude Zidi). In questo contesto, Chahi inizia a programmare per Amstrad con adattamenti di opere letterarie come il Viaggio al centro della terra di Jules Verne. Chahi incontra poi Paul de Senneville, produttore che dirige la parigina Delphine Software. Per Cuisset, Chahi cura la grafica di Future Wars, una avventura fantascientifica.
Chahi passa poi al progetto personale di Another World, occupandosi di ogni aspetto. Il designer realizza ambientazioni e personaggi tramite vettori di calcolo, che riducono l’utilizzo della memoria dei supporti dell’epoca rispetto a una animazione frame-by-frame. Per le animazioni si serve ampiamente del rotoscoping, una tecnica di cattura del movimento dei corpi attraverso il mezzo della ripresa cinematografica; il lavoro di Chahi è relativamente pionieristico: prima di lui, forse solo Jordan Mechner aveva realizzato con questo procedimento Prince of Persia.
Questo articolo è stato pubblicato e continua su Segnocinema (227, gennaio-febbraio 2021, pp. 60-61).
Another World (1991), Éric Chahi/Delphine Software/U.S. Gold, Francia (multipiattaforma).Arche du Captain Blood, L’ (1988), Philippe Ulrich/Didier Bouchon, RE/Exxxos/Infograme, Francia (Atari ST).
Blanchet, A. (2015), ‘France’, in M.J.P. Wolf (a cura di), Video Games Around the world. MIT Press, pp. 175-192.
Carbone, M.B. (2017), ‘Prince of Persia: Rotoscopio e accesso al profilmico’, Segnocinema,n. 204, pp. 60-61.
Carbone, M.B. (2020), ‘L’Italia del Simulmondo. Caratteri nazionali e transnazionali dell’industria Italiana del videogioco’, in M.B. Carbone e R. Fassone (a cura di), Il videogioco in Italia. Storie, rappresentazioni, contesti, Udine-Milano: Mimesis, pp. 53-81.
Donovan, T. (2010). Replay: The History of Video Games, East Sussex: Yellow Ant.
Flashback (1992), design. Paul Cuisset, dev. Delphine Software, publish. U.S. Gold, Francia. Montagnon, G., Blanchet, A. (2019). French touche. Une histoire du jeu vidéo en France. t. 1, Pix’n Love.
Prince of Persia (1989), design. Jordan Mechner, dev./publish. Broderbund, Stati Uniti (Apple II)
Ripoux, Les (1984), Cobra Soft/Hitech Productions, Francia (Atari ST).
It focused on two main issues: the historiography and state of the Italian video game industry, and the images and representations of Italy in the medium of the video game. Looking at these two, often intersecting themes, the lecture presented the case for framing the study of video games in Italian academia under a rigorous, non-celebratory perspective and for critically understanding its representations, characterisations, and national branding in the medium.
Full Reference: 2020 – Italy in Games/Games in Italy. Images of the Nation and the Rise of a National Industry – Marco Benoît Carbone (Brunel University London) & Riccardo Fassone (Università di Torino), «Mediating Italy in Global Culture Summer School. III Online Edition», Alma Mater Studiorum Università di Bologna.